Il futuro delle democrazie occidentali è nella difesa di vita e famiglia naturale
14 Novembre 2010
"Solo laddove esistono l’amore e la fedeltà, nasce e perdura la vera libertà". Questa frase pronunciata da papa Benedetto XVI a Barcellona in occasione della consacrazione della Chiesa della Sagrada Familia riassume esemplarmente il peso che oggi le argomentazioni proposte dalla Chiesa cattolica assumono nel dibattito politico dei paesi liberaldemocratici occidentali, e non solo di essi.
L’identificazione tra ordine familiare naturale, promozione della vita e ordinamenti liberali si traduce per il papa nella ferma richiesta a tutti governi democratici "affinché l’uomo e la donna che si uniscono in matrimonio e formano una famiglia siano decisamente sostenuti dallo Stato, affinché si difenda come sacra e inviolabile la vita dei figli dal momento del loro concepimento".
Il discorso spagnolo del pontefice consacra in forma solenne una lunga serie di richiami nello stesso senso, che dimostrano eloquentemente come per papa Ratzinger, nel solco tracciato dal suo predecessore Giovanni Paolo II e dal cardinale Ruini, quella antropologica sia la questione politica decisiva della nostra epoca, quella in relazione alla quale si decide il destino della cultura universalistica liberaldemocratica.
Particolarmente rilevanti, in tal senso, il discorso tenuto al Parlamento britannico di Wesminster il 17 settembre scorso e l’allocuzione ai vescovi brasiliani del Nordeste del 28 ottobre. Nel primo, Benedetto XVI affermava la consonanza della dottrina sociale cristiana con la tradizione del costituzionalismo britannico, confluita nella democrazia pluralista, "se si considera la sua fondamentale preoccupazione per la salvaguardia della dignità di ogni singola persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, e la sua sottolineatura del dovere delle autorità civili di promuovere il bene comune". Nella seconda, il pontefice ha ricordato con forza che "sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale" in quanto "nel quadro dell’impegno a favore dei più deboli e dei più indifesi, chi è più inerme di un nascituro o di un malato in stato vegetativo o terminale?" E che "quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico — che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana — è tradito nei suoi fondamenti".
I tre pronunciamenti qui citati si inscrivono in un’ormai consolidata linea di pensiero: la tesi secondo cui la questione della salvaguardia della vita umana a tutti i livelli rappresenta la cartina di tornasole della rispondenza effettiva della cultura liberaldemocratica occidentale alle sue radici e ai suoi princìpi fondanti. Il cui ovvio corollario è l’idea che qualsiasi tentativo di scindere la democrazia da quei princìpi non può non snaturarla irrimediabilmente.
Questo percorso – che vede il suo punto di snodo decisivo nell’enciclica wojtyliana Evangelium vitae del 1995 – esprime in realtà la lucida consapevolezza maturata nella Chiesa cattolica sul fatto che dopo la fine del grande conflitto tra democrazie liberali e ideologie totalitarie “classiche” la cultura liberaldemocratica fondata sull’inalienabilità dei diritti soggettivi fondamentali è stata rapidamente corrosa dall’interno da due nuovi, ancor più temibili, agenti distruttivi: il relativismo individualistico che pretende la coincidenza tra “desideri” e diritti, e lo scientismo che pretende l’illimitato accesso alla manipolazione della vita promettendo salute, gioventù pressoché eterna e liberazione dal dolore.
I risultati dell’avvento di queste “dittature” culturali sulle società altamente industrializzate, e ora anche ormai su quelle in via di sviluppo, sono stati puntualmente sottolineati dalle prese di posizione ufficiali della Chiesa. La banalizzazione del divorzio, della contraccezione, dell’aborto, la sempre più pressante richiesta di equiparazione dei rapporti omosessuali alle famiglie naturali, la manipolazione e distruzione selvaggia degli embrioni umani, i tentativi di giustificazione etica e legalizzazione dell’eutanasia, concorrono per essa in misura decisiva ad una generale disgregazione dei legami sociali, e persino dei fattori dello sviluppo economico mondiale: fino alla stessa autodistruzione fisica delle società attraverso l’inversione di tendenza demografica, che oggi comincia a profilarsi chiaramente non solo, e drammaticamente, in Occidente ma anche nell’ex "terzo mondo", smentendo decenni di timori catastrofisti di derivazione malthusiana sull’“esplosione” della popolazione mondiale.
Da molti anni, praticamente da sola in una cultura dominante sempre più ostile, la Chiesa caparbiamente addita il pericolo incombente di un’umanità sempre più vecchia, meno vitale, appesantita da costi sociali insostenibili, incapace di progettare il futuro e di superare l’asfittico punto di vista della soddisfazione individuale, avvitata in una crisi economica ed etica senza uscita, in cui la sopravvivenza di regimi politici fondati sul rispetto delle libertà individuali diverrà conseguentemente sempre più improbabile, e sempre più facile per converso sarà la possibilità di affermazione di nuovi poteri più o meno apertamente autoritari.
A queste posizioni la cultura politica genericamente liberal-progressista, nella quale sono confluiti molti reduci delle ideologie novecentesche, reagisce con un’aggressività ai limiti dell’ostracismo culturale, accusando la Chiesa di sabotare la modernità e "le magnifiche sorti e progressive" dell’umanità. E spingendosi, in casi come quello delle unioni omosessuali, fino a pretendere dai cattolici in nome della lotta alle "discriminazioni" di fare proprio l’indifferentismo in matera di orientamenti sessuali. A pretendere, cioè, che essi rinuncino a considerare peccato la sessualità disordinata e non ordinata alla generazione della vita, snaturando il senso stesso del messaggio cristiano.
La radicalità delle contrapposizioni maturate su questi temi conferma in realtà quanto quella del diritto alla vita sia divenuta effettivamente ormai la linea di conflitto principale nelle democrazie contemporanee, e ridefinisca in modo decisivo gli schieramenti politico-culturali che in esse si contendono il consenso.
Se da una parte le forze “progressiste” si caratterizzano nei paesi occidentali ormai innanzitutto, più che per l’egualitarismo economico e sociale, per la rivendicazione di un’assoluta “autodeterminazione” nei comportamenti personali (per giunta gravata dal rigido moralismo politically correct in sostituzione della morale tradizionale) e per l’affermazione di una illimitata modificabilità della natura umana, dall’altro lato l’eredità della cultura politica liberale e moderata che si era opposta ai totalitarismi del secolo XX si traduce oggi naturalmente in un tradizionalismo attivo, in un rinnovato conservatorismo etico-sociale schierato ad intransigente difesa della vita umana in ogni stadio della sua evoluzione contro assolutismi individualistici e ingegnerie sociali di ogni genere, ed in nome della legge naturale come unica base dei diritti soggettivi.
Una dialettica in cui non è più possibile rivendicare aprioristicamente, da parte dei "progressisti", il monopolio di categorie come quelle di "progresso" e di "modernità". Nei grandi processi decisionali delle democrazie contemporanee sui temi biopolitici, infatti, è in gioco proprio la possibilità di salvare il patrimonio etico-politico della modernità occidentale in tema di diritti della persona, libertà, eguaglianza, giustizia sociale dalla sua dissoluzione in una "non-società" composta da individui isolati e smarriti, proiettati in un corto orizzonte puramente edonistico, in balia di poteri sempre più paternalistici e costrittivi.