Il sionismo è stato riscattato

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Il sionismo è stato riscattato

Il sionismo è stato riscattato

16 Giugno 2025

Il sionismo, sotto attacco come mai prima d’ora dall’alba del 7 Ottobre – non solo come dottrina politica, ma come idea stessa – ha oggi riaffermato la propria legittimità come parte fondamentale della storia dell’umanità.

Non che ne avesse bisogno, ma diciamolo così: l’“esperimento sionista” non è più un esperimento. Israele è ormai una realtà. E come il popolo ebraico, sopravviverà. Il significato dell’attacco all’Iran è chiaro e inequivocabile: Israele non permetterà mai che si tenti di cancellarlo dalla faccia della terra, né accetterà che il popolo ebraico viva piegato dalla paura del proprio futuro. Israele vivrà, prospererà, come tutte le nazioni che sanno difendersi dal male e trionfare nel suo superamento.

Basti pensare: in meno di ottant’anni, Israele è passato dall’essere una delle nazioni più povere del pianeta a una delle più ricche. È, pressoché da solo tra i Paesi avanzati, a mantenere un tasso di natalità superiore al doppio rispetto all’Europa occidentale. Israele guarda al futuro e lo costruisce, e uno dei modi in cui garantisce quel futuro è l’eliminazione delle minacce che lo mettono in discussione.

I visionari del sionismo del XIX e dei primi del XX secolo – da Herzl a Jabotinsky – avevano visioni differenti di cosa dovesse essere uno Stato ebraico. Ma non dubitarono mai che quello Stato sarebbe cresciuto forte: economicamente, militarmente, culturalmente, esistenzialmente. Nel suo romanzo utopico del 1903, Altneuland – La Terra Antica-Nuova – Herzl immagina personaggi che, dopo un viaggio per mare lungo vent’anni, fanno ritorno a una Haifa rinata, in uno Stato ebraico ricostituito. Lì si sentono dire: «Un tempo i bambini ebrei erano pallidi, deboli, timorosi. Guardateli ora!… Li abbiamo tirati fuori da cantine umide e tuguri, e li abbiamo portati alla luce del sole. Le piante non crescono senza sole. Nemmeno gli esseri umani. Le piante possono essere salvate trapiantandole in un terreno più favorevole. Anche le persone. È così che è accaduto!»

L’Israele immaginato da Herzl in Altneuland non somiglia affatto all’Israele di oggi – né a quello che è mai esistito: era il sogno di un laico europeo con inclinazioni fabiane. Ma l’idea che gli ebrei potessero prosperare alla luce del sole si è realizzata in modo spettacolare. «Il nostro popolo, nazione paria, ha compreso che la sua salvezza risiedeva in sé stesso… e si è lanciato nell’impresa nazionale della rinascita.» La salvezza risiedeva in sé stesso. Un popolo senza potere né difese per quasi due millenni, nelle sue prime due decadi di indipendenza ha costruito un apparato militare che colse di sorpresa – e sgomento – i Paesi arabi decisi a cancellarne l’esistenza. Portati alla luce del sole, e costretti a cercare in sé stessi la propria salvezza, gli ebrei d’Israele sono diventati una potenza militare per forza di volontà e determinazione, e trionfarono nella Guerra dei Sei Giorni, esattamente cinquantotto anni fa.

Fu l’opera di una generazione: la prima generazione di Sabra. L’attacco all’Iran è l’opera di un’altra generazione. Questa guerra di salvezza, complessa e a più livelli, è il risultato di vent’anni di pianificazione ed esecuzione. Ne abbiamo visto segnali sparsi nel tempo: la penetrazione nei sistemi informatici iraniani con il virus Stuxnet, l’eliminazione di scienziati nucleari che progettavano strumenti per annientare il popolo ebraico, e l’audace acquisizione dell’intero archivio cartaceo del programma nucleare iraniano. Ma anche con quei segnali della straordinaria capacità israeliana di violare il guscio dell’Iran, il mondo rimase sbalordito lo scorso anno quando Israele abbatté le difese aeree iraniane con mezzi militari che nessuno sapeva nemmeno esistessero.

Eppure, anche quella prova d’ingegno non preparò il mondo alla portata colossale degli attacchi della prima notte: una sequenza di operazioni coordinate, vertiginose, che lasciano senza fiato. L’eliminazione dei vertici militari iraniani (grazie a un’intelligence di terra), unita agli attacchi contro piattaforme missilistiche, fabbriche e – con ogni evidenza – al sito nucleare di Natanz, tutto avvenuto in simultanea, dimostra non solo la penetrazione capillare di Israele nella società iraniana a tutti i livelli, ma anche che tale operazione ha richiesto decenni di preparazione.

Ventiquattro anni fa, l’allora presidente iraniano, l’Ayatollah Rafsanjani – ritenuto, a torto, un “moderato” – pronunciava queste parole, a pochi mesi dall’11 settembre, che aveva mostrato al mondo la natura omicida della minaccia islamista all’Occidente: «Se un giorno anche il mondo islamico dovesse dotarsi di armi come quelle attualmente possedute da Israele, la strategia degli imperialisti giungerebbe a un punto morto, perché l’uso anche di una sola bomba nucleare all’interno di Israele distruggerebbe tutto. Tuttavia, essa danneggerebbe solo marginalmente il mondo islamico.»

In altre parole: anche se una guerra nucleare causasse danni al di fuori di Israele, ne varrebbe comunque la pena, poiché Israele cesserebbe di esistere. Nel 2005, a Rafsanjani succedette Mahmoud Ahmadinejad, che iniziò a dire in modo ancor più esplicito ciò che il suo predecessore aveva lasciato intendere: «Per volontà del popolo e per volontà di Dio, la tendenza dell’esistenza del regime sionista è in declino… Il regime sionista sarà presto cancellato.» Per decenni, mullah e leader iraniani avevano scandito gli slogan “Morte all’America” e “Morte a Israele”, ma qui si andava oltre. Le ambizioni nucleari dell’Iran erano reali, e il loro scopo dichiarato era millenarista, apocalittico e diretto contro gli ebrei.

Nei giorni, nelle settimane, nei mesi e negli anni a venire, sapremo – almeno in parte – ciò che Israele ha ritenuto necessario fare per rallentare, fermare e distruggere le ambizioni apocalittiche dell’Iran. La natura dell’operazione – o delle operazioni – è destinata a superare, per scala e complessità, qualsiasi precedente sforzo militare o di intelligence mai visto sulla terra. E ciò è accaduto perché doveva accadere. Perché Israele è reale. Perché Israele è una nazione di nove milioni di abitanti e non era disposta a permettere che la sua esistenza venisse annientata.

Ancora più significativo è il fatto che l’attuazione di questo piano sia giunta dopo il più grande fallimento militare e d’intelligence nella storia recente d’Israele: l’incapacità di prevenire l’attacco di Hamas, nella convinzione che quel nemico fosse stato contenuto, ridotto all’impotenza, privo della capacità di colpire in modo devastante.

Forse possiamo ipotizzare che il bisogno di credere di aver neutralizzato Hamas – grazie ai sistemi di difesa missilistica e antimissile – abbia indotto i leader israeliani a concentrare le loro energie, il loro tempo e le loro risorse sulla sorveglianza e sulla preparazione di contromisure contro l’Iran. Forse, semplicemente, non avevano – come si dice oggi – abbastanza “risorse operative” per occuparsi di entrambe le minacce.

Ma la catastrofe del 7 ottobre ha mostrato, in tutta la sua crudezza, quanto l’Iran fosse determinato a realizzare il proprio progetto: distruggere Israele. E così ha innescato la risposta finale di Israele: la guerra a Gaza, la distruzione di Hezbollah in Libano, l’abbattimento delle difese aeree iraniane e, oggi, la volontà di sradicare dal mondo non solo i siti nucleari dell’Iran, ma le sue stesse ambizioni atomiche – e, forse, anche il regime che le ha generate. Di fronte all’audacia della pianificazione e alla magnificenza – finora – dell’esecuzione, si resta senza parole.

E ci si chiede, ancora una volta, se quanto sta accadendo non sia solo la manifestazione di un popolo che trova la propria salvezza nell’autogoverno ebraico, ma anche – forse – un segno della Provvidenza.

(Tratto da “Commentary” , tutti i diritti riservati. Traduzione a cura di Elena De Giorgio)