La Chiesa di Benedetto dà lezioni di politica all’Europa

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La Chiesa di Benedetto dà lezioni di politica all’Europa

La Chiesa di Benedetto dà lezioni di politica all’Europa

10 Luglio 2007

Benedetto XVI con un Motu proprio
Summorum pontificum “sull’uso della liturgia romana anteriore alla
riforma del 1970” –  ha reintrodotto la
libertà di celebrare la Messa in latino, previa richiesta da parte di un gruppo
di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica. Semplifico, perché la
questione è più articolata, basti pensare che mai questo diritto è stato negato
alle comunità e che soltanto alcune pregiudiziali ideologiche hanno posto al centro
dell’attenzione mediatica qualcosa che non è mai stato considerato un limite
nella Chiesa, l’adesione alla Tradizione.

Detto questo, sul piano formale, i
parroci sono invitati ad accogliere siffatte richieste da parte dei fedeli,
secondo lo spirito antico della libertà interna alla Chiesa come madre e come
guida delle anime. Si sancisce, così, in maniera oggettivamente inequivocabile
– ecco il punto d’onore stabilito da questo grande Pontefice – un criterio di
libertà che già il card. Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, aveva affermato, apertis verbis, nella sua
celebre intervista sulla fede, Rapporto sulla fede, curata da Messori,
là dove si ribadisce che non esiste una “Chiesa post-conciliare”, perché la Chiesa
vive di un’unica Tradizione. Già sulla parola “Tradizione”, sarebbe opportuno
soffermarsi per spiegare ad un mondo di singoli, il mondo postmoderno, che
aderire ad una realtà esterna, oggettiva e dinamicamente in evoluzione, pur
avendo caratteri di eternità, è una virtù dell’anima e dell’intelletto: ma per
far ciò, occorrerebbe un libro intero e io accenno soltanto di passata la
questione.

Tornando all’intervista dell’allora Card. Ratzinger, egli, già nel
1985, osservava: “Bisogna decisamente opporsi a questo schematismo di un prima
e di un dopo nella storia della Chiesa, del tutto ingiustificato dagli
stessi documenti del Vaticano II che non fanno che riaffermare la continuità
del cattolicesimo. Non c’è una Chiesa “pre” o “post” conciliare: c’è una sola e
unica Chiesa che cammina verso il Signore, approfondendo sempre di più e
capendo sempre meglio il bagaglio di fede che Egli stesso le ha affidato. In
questa storia non ci sono salti, non ci sono fratture, non c’è soluzione di
continuità. Il Concilio non intendeva affatto introdurre una divisione del
tempo nella Chiesa” (Rapporto sulla fede, Ediz. Paoline, Milano, 1985,
p. 33). In un discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 aveva ribadito
questo antico principio, che sostanzia la lettera di questo Motu proprio.

E’ il Card. Ruini a ricordarlo in
un editoriale pubblicato su Avvenire, domenica 8 luglio. Torna il latino
e ritorna la libertà nell’aderire alla tradizione liturgica, ferma restando la
disciplina liturgica sancita dal Vaticano II. Un enorme passo avanti nel
dialogo con i lefebvriani della Fraternità San Pio X, con i quali i rapporti
sono andati migliorando nel corso degli ultimi anni. La Chiesa aveva dialogato
con tutti, dai marxisti ai teologi della liberazione, con le altre religioni,
ma con questi scismatici aveva stabilito duramente una linea di demarcazione
fin troppo netta. Un eccesso di zelo, direi. Ma non è tutto. Il dato ancora più
qualificante, sul piano storico e teologico, è la riaffermazione dei criteri
costantemente osservati dalla Chiesa, quell’intelligenza critica verso il
“progressismo” senza contenuti, che ha infatti fatto andare in bestia il guru
dei progressisti cattolici, lo storico Melloni. Poco male. Il fatto è certo ed
è Stato ribadito, il resto è chiacchiera polemica di sagrestia.

Del resto, è
ormai chiaro a chi voglia intendere con pacifica onestà intellettuale che il
progressismo cattolico è la malattia ad un tempo infantile e terminale del
clericalismo. Non c’è neanche più Dossetti in questa postura mentale, c’è soltanto
la retorica dello status quo. Da Melloni a Bianchi, per intendersi. Il Vaticano
II aveva stabilito alcune linee-guida culturali che guardavano ad una
modernità, del resto già in profonda crisi, tralasciando completamente gli
oppositori interni alla linea della Tradizione ecclesiastica. Cioè alla linea
che manteneva ferma la clausola essenziale del linguaggio teologico della
Chiesa. Mutato il linguaggio teologico, muta anche la teologia e dunque il
rapporto tra il Magistero e il popolo dei credenti. Con ciò si è dunque
stabilito un precedente pesante che ha gravato moltissimo sull’unità della
Chiesa, realtà che Benedetto XVI cura oggi con uno zelo pastorale degno di ogni
ammirazione. Il Papa e, con lui, la Chiesa, ha portato a casa, per così dire,
un risultato straordinario, che ricollega il presente alla tradizione classica
della Chiesa, posto che i cristiani hanno conosciuto Dio in latino.

Detto
questo, c’è un altro significato storico che non deve essere sottovalutato,
soprattutto nel caso di un Pontefice che guarda alla storia come il luogo della
rivelazione del Dio di Gesù Cristo. Con questo passo, ristabiliti i criteri
dell’unità della Chiesa attorno al nucleo della Tradizione, la stessa Chiesa
oggi perseguitata, dal Medioriente alla Cina, ritrova slancio e fervore,
potendo richiamarsi ad un principio che stringe tutti i cattolici, dai
lefebvriani ai sostenitori dello “spirito del Vaticano II”, in una nuova unità.
Solo i progressisti ne rimarrebbero fuori, ma il clericalismo è sempre imbelle
di fronte ai drammi della storia che coinvolgono la caarne e il sangue dei
fratelli nella fede. Il motto di Tertulliano, Sanguis martyrum, semen
Christianorum
– ritorna dirompentemente alla ribalta e riapre una coscienza
mondiale della Cristianità
, anzi l’idea stessa di una Cristianità, cioè di
una civiltà legata ad una stessa tradizione religiosa, liturgica e culturale.
Il che produce degli effetti politici e pubblici, determinati cioè
dall’opinione pubblica, non irrilevanti. Si è aperto e si sta consolidando un fronte
pro-Cristianità, anche in settori distanti dalla Chiesa, talvolta del tutto
laicisti. Benedetto XVI conosce bene la realtà di martirio dei cristiani nel
Medioriente, sa bene che la Chiesa ha trascurato per troppo tempo l’idea che
dovesse esserci una reciprocità tra la Cristianità e l’Islam, in materia di
libertà di culto o, meglio, una soglia minimale per l’Islam di accettazione di
alcuni criteri elementari di apertura alla libertà religiosa. Il Papa sa bene
tutto ciò. Su questo punto, Paolo VI spinse una linea di politica ecclesiastica
che condusse alla fine alla costruzione della più grande moschea d’Europa di
fronte al Soglio di Pietro.

Papa Benedetto sa tutto ciò e sa anche che la
libertà religiosa rappresenta, di fatto, il punto centrale, insieme di vertice
e di sintesi, della libertà in quanto tale. Un’idea, questa, fortemente
centrata sulla costituzione conciliare Dignitatis humanae e
sapientemente rielaborata a sua volta da Giovanni Paolo II. Una linea di
demarcazione che determina non soltanto la politica ecclesiastica, ma, oggi,
nella globalizzazione, anche la politica in quanto tale. Dato che siffatta
libertà – essendo loro negata manu militari – segna nella carne il
presente di molti popoli. Si apre così una nuova partita giocata dal Papato, che
si conferma il soggetto universale capace di muovere gli orizzonti dell’umanità
nel difficile tempo della globalizzazione. La politica laica degli Stati
europei non tarderà a rendersi conto di questa grande novità.