La “nuova evangelizzazione” di Papa Ratzinger

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La “nuova evangelizzazione” di Papa Ratzinger

05 Gennaio 2008

Nel 2002, la Congregazione per la Dottrina della Fede interveniva sui criteri di azione dei cristiani nella vita politica. Il tema della crisi della società e della giusta distinzione tra l’adesione alla Chiesa del dominio del sociale e la Chiesa della libertà era centrale. Oggi la stessa Congregazione è costretta a fare un passo indietro, in una sorta di regressus ad infinitum, e porre con nettezza la basi teologiche, antropologiche ed ecclesiologiche dell’evangelizzazione. La “nuova evangelizzazione” di Giovanni Paolo II ha prodotto frutti contraddittori, anche significativi, per certi aspetti, ma nel complesso non omogenei e duraturi, secondo le ottimistiche previsioni di un decennio addietro, perché la Chiesa, dominata dall’idolatria della coppia “evangelizzazione e promozione umana”, inventata dal gesuita padre Sorge e declinata in ogni diocesi come unico senso storico della missione ecclesiale, non poteva che produrre frutti di questa natura. Nel contesto storico attuale, Benedetto XVI riapre lo scenario dell’evangelizzazione dall’abc e dall’esigenza di recuperare un linguaggio teologico cattolico adeguato allo scopo. Non più la fede generatrice di cultura, ma la fede capace di ridire le parole della verità, le grandi parole del cattolicesimo. Il che potrebbe, prima facie, apparire un paradosso, visto e considerata la levatura intellettuale di Papa Benedetto. Ma così non è, poiché, quando decade l’uso e il senso comune di un linguaggio teologico, decade di fatto un’intera teologia (essa sì generatrice di cultura) e ciò non si può qualificare come un fenomeno attuale. Esso era in qualche modo presentito con particolare sensibilità e acume dal Card. Siri, allora alla guida della CEI, nel 1960. E’ datato 1960 (!) il documento dedicato appunto al “laicismo” che mette al centro della critica teologica e culturale il progressismo già dominante nella Chiesa. A cinque anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, Siri non valuta soltanto le ascendenze laiciste nella cultura dei laici comuni, ma anche dei sacerdoti, in ciò anticipando un’attenzione in questa direzione che sarà del Card. Biffi e del Card. Maggiolini. Papa Benedetto giunge all’attualità con lo spirito del pastore che intende evitare le vecchie diatribe post-conciliari e, nel contempo, riattivare la dinamica della fede e della teologia, cioè dell’intellectus fidei, all’interno della Chiesa. Per affrontare questo impegnativo e decisivo compito, non ha soltanto scritto una grande enciclica dedicata alla speranza, la più piccola delle virtù secondo Péguy (di fatto, interamente consegnata all’interrogazione sulla fede, perché non si spera senza credere in Cristo), ma ha anche impostato, con accenti pubblici, l’intera problematica del distacco del mondo secolare da Dio, quasi volendo raccogliere tutti i fedeli a testimoni ed attori di un compito decisivo. La parola chiave di questa nuova impresa teologica e spirituale del Papa, si condensa e prende forma in parole come queste: “Non bisogna illudersi: i problemi che pone il secolarismo del nostro tempo e la pressione delle presunzioni ideologiche alle quali tende la coscienza secolaristica con la sua pretesa esclusiva alla razionalità definitiva, non sono piccoli. Noi lo sappiamo, e conosciamo la fatica della lotta che in questo tempo ci è imposta. Ma sappiamo anche che il Signore mantiene la sua promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20)”. La disillusione come cifra spirituale. E’ il segnavia di molta mistica cattolica, da san Giovanni della Croce a san Padre Pio. Si tratta di una atteggiamento del cuore totalmente abbandonato all’azione dello Spirito e, nel medesimo tempo, non disposto a recedere dalla “buona battaglia della fede”. Sant’Ignazio di Loyola si esprimeva in termini omogenei ed efficaci: fare come se tutto dipendesse da noi, sapendo che tutto, in realtà, dipende da Dio. Un atteggiamento misticamente aperto alla scoperta delle sorgenti della fede e della speranza in ogni angolo della vita umana e della realtà. In ciò, un atteggiamento laico. Laico in quanto mistico e mistico in quanto laico. Queste sono le coordinate teologiche che sostanziano il testo sull’evangelizzazione prodotto dalla Congregazione della Dottrina della Fede. Cinque anni dopo il testo sulla politica, oggi leggiamo un testo di impostazione dottrinale basilare, perché, dopo un lustro, niente è più scontato nella Chiesa e la disgregazione teologica, dunque nel dominio dell’ortodossia, ha creato una deriva ereticale e dunque problematica nel dominio dell’ortoprassi, legata all’azione ecclesiale, storica, personale e sociale. La novità consiste nel farsi carico dei fondamenti con lo spirito disilluso di chi sa che, da un lato, deve fare il possibile per rallentare l’erosione interna, ma, dall’altro, è altrettanto consapevole che tale erosione non potrà mai essere sanata solo attraverso l’azione pastorale, foss’anche la più illuminata. E’ la stagione dell’apparente “zona grigia”, del basso profilo della Chiesa e dello stesso Magistero, che si impegna a rileggere il tempo attuale come un kairòs, un tempo debito ed opportuno per la riconversione del cuore e dell’intelligenza. Evitando dunque di dare per scontato ciò che oggi, per moltissimi cristiani, scontato non è. E’ la seconda fase della “nuova evangelizzazione”, ma senza la presunzione missionaria e dunque ecclesiale della prima. Se verifichiamo questa tesi nel contesto dell’impegno politico dei cattolici, spesso coinvolti anche nella sfera associativa e sociale, siamo così in grado di concludere agevolmente che la Chiesa di Benedetto XVI, per evitare di navigare a vista, o ancor peggio, essere divorata dalla crisi attuale, ricerca, con tenace e intelligente umiltà, la strada dei fondamenti e della ricostruzione del linguaggio teologico della fede. E’ questa l’umiltà, nel senso letterale ed etimologico del termine, della Chiesa, che non ha più glorie mondane da vantare e viene attaccata da ogni lato; e, infine, da questa umiltà si può perfino trarre una preziosa indicazione metodologica: non esistono più le ricostruzioni dell’età dell’oro né le sole barricate, ci vuole l’immersione profonda nel mondo spirituale della Tradizione per trarne l’alimento della missione di cui il “resto d’Israele” dovrà farsi carico. La storia segue percorsi non completamente precisabili e certamente non prevedibili, la Chiesa si ricolloca nell’alveo del soffio dello Spirito, che crea spesso disilludendo e sospinge l’azione umana per sentieri inaccessibili e non consueti. La novità ha un nome antico, per la Chiesa, nella stagione creativa della disillusione mistica.