“Laici e cattolici, il rischio è far tornare l’Italia indietro di vent’anni”
06 Gennaio 2013
Gentile direttore,
il dibattito di questi giorni, al quale il suo Giornale prende parte, dimostra che il rapporto tra religione e politica è tema più complesso di un endorsement giornalistico, ancorché autorevole come quello dell’Osservatore Romano verso il professor Monti. Non è certo in discussione la legittimità di quell’articolo, ma è lecito chiedersi: quell’ endorsement è un passo avanti o un arretramento storico?
Il rapporto tra religione e politica ha vissuto in Italia una svolta epocale nel 1995, quando Giovanni Paolo II da Palermo delineò un nuovo modello di presenza cattolica nella vita pubblica, non vincolata a un partito o a uno schieramento ma saldamente ancorata ai contenuti. Il che non significava che da quel momento le opzioni politiche si equivalessero. Significava, piuttosto, che la Chiesa avrebbe parlato dal pulpito senza la mediazione di un braccio secolare, e i cattolici avrebbero militato nei diversi partiti senza per questo scivolare nel relativismo. Questo approccio lo ritroviamo in Benedetto XVI, il quale a più riprese e già dalla sua prima enciclica Deus caritas est distingue tra il compito della Chiesa (offrire uno specifico contributo di consapevolezza) e il compito della politica (realizzare una società più giusta).
Se dunque il primato spetta ai contenuti, quali sono oggi i contenuti sui quali il giudizio dei cattolici dovrebbe orientarsi? Anche in questo caso alcuni documenti appaiono illuminanti per comprendere, come spiegò nel 2011 a Todi il cardinale Bagnasco, che il bene comune non è un groviglio di valori equivalenti fra cui scegliere a piacimento. Esiste “un ordine e una gerarchia costitutiva”, che vede nell’uomo – e dunque nella vita, nella morte e nella fragilità, nella famiglia, nella libertà educativa – la dimensione primaria e non negoziabile senza la quale ogni altra etica sociale sarebbe arida e illusoria, e su cui si gioca il futuro della stessa Europa.
Nella Caritas in veritate si evidenzia come l’etica economica e la dottrina sociale non siano temi esaustivi ma aspetti particolari di una concezione integrale dello sviluppo dell’uomo a partire dalla sua centralità. E ancora di recente, negli auguri natalizi alla Curia romana e nel messaggio alla Giornata della Pace, Benedetto XVI ha ribadito la centralità della questione antropologica come presupposto imprescindibile per il perseguimento del bene comune.
Insomma: non può esistere politica sociale se si abbandona l’uomo quando più è fragile. L’agenda Monti, invece, ha escluso la questione antropologica dal proprio perimetro programmatico e ideale. Dopo averla liquidata con un legittimo ma insufficiente rimando alla valutazione individuale, ha pensato di eludere il problema richiamandosi genericamente alla Costituzione. Toppa peggiore del buco. Se si ritiene infatti che determinate convinzioni possano essere laico patrimonio di credenti e non credenti in quanto riferibili a una comune ragione, logica conseguenza è che il riferimento primario non siano gli articoli della Carta, ma principi preesistenti propri di una tradizione e di una civiltà di cui la Costituzione è prodotto storico.
Non se ne abbia a male il professor Monti. Non è per brandire una “accetta”, come da lui sostenuto, se notiamo che il suo modo di aggirare questo nodo somiglia molto all’impostazione della sinistra. Anzi: se addirittura da sinistra gli giunge l’opposta ma speculare accusa di aver eluso il tema (fra tutti Stefano Rodotà), ciò significa che risposte politiche in questo campo sono ineludibili. Per queste ragioni, a prescindere dalla legittimità di ogni opinione, sarebbe certamente meglio evitare che l’enfatizzazione di un articolo di giornale possa riportare il rapporto tra religione e politica in Italia indietro di vent’anni.
Molto meglio, sul solco tracciato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, riprendere la strada faticosa ma avvincente del laico incontro fra credenti e non credenti in nome della centralità dell’uomo. E’ quanto nel PdL, con umiltà, cercheremo di fare.