L’Anno della fede non è l’occasione per colpire i critici ‘tradizionalisti’

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L’Anno della fede non è l’occasione per colpire i critici ‘tradizionalisti’

L’Anno della fede non è l’occasione per colpire i critici ‘tradizionalisti’

10 Ottobre 2012

Un amico, sacerdote e teologo, colta intelligenza che ha per questo particolari responsabilità, interviene su un settimanale cattolico regionale. Il tema è il Concilio, la vera Chiesa e la resistenza degli ambienti ‘tradizionalistici’ (non scismatici) all’ecumenismo conciliare e postconciliare. Dopo aver ricordato la ‘scaletta di argomenti’ dettata dopo trent’anni dall’enciclica Ut unum sint (ovvero De oecumenico officio del 25 aprile 1995, Enchiridion Vaticanum 14, 2667-2884), il teologo si spinge ad affermare che per i critici (tradizionalistici) “tutto ciò [ossia le linee proposte dall’Enciclica per favorire e guidare il dialogo ecumenico] è immanentismo, antropocentrismo, irenismo ecc.”. Per concludere, dopo aver menzionato con riprovazione mons. Brunero Gherardini: “Ma con chi considera il Vaticano II un equivoco e un colpo di mano contro la Tradizione, qualsiasi confronto è del tutto impossibile”. Appare qui una semplificazione inaccettabile, anche (o tanto più) se in buona fede. Osservo due cose.

La prima. Nessun esponente della teologia cattolica che continua a fondarsi anzitutto sulla Tradizione cronologicamente ‘preconciliare’ (che è la Tradizione cattolica tout court), considera immanentismo o ‘deriva modernistica’ un ecumenismo cattolico che dichiari (come fa la Ut unum sint di Giovanni Paolo II) irrinunciabili: il legame necessario tra Scrittura e Tradizione, l’Eucarestia come memoria sacrificale e presenza reale di Cristo, il sacramento dell’Ordine, il Magistero, la Vergine Maria Madre di Dio. Tutt’altro! Altra cosa è temere che, come conseguenza di decenni di ‘dialogo’ senza regole (che provocarono la UUS e molti altriinterventi disciplinanti di Roma), proprio questi dati primi e vitali della realtà e della dottrina cristiana, vengano diluiti e vanificati.

La seconda, più importante. Dove trovare, allora, “immanentismo, antropocentrismo, irenismo”, che non sono né invenzioni di Gherardini o di Antonio Livi, e dei loro splendidi, coraggiosi libri? Si trovano nel soggetto assente dal ragionamento dell’amico teologo, cioè nella cultura e nella pratica ‘ecumenica’ che non si riconobbero, né prima né dopo la UUS, in alcuno dei punti fermi dell’Enciclica.

La dimostrazione, prima che nei libri, è sotto i nostri occhi. La manierata evocazione del Vangelo, in scrittori e scrittrici di cose ecclesiali e spirituali, che sulla stampa e nell’editoria cattolica passano per ‘teologi’, non fa mai menzione significativa della Tradizione. Per l’Eucaristia circola quasi ovunque il superficiale verbiage della mensa e del mangiare insieme, contro la dimensione sacrificale e contro (più o meno consapevolmente) la Presenza reale. L’Ordine sacro è declassato quanto a sacralità e a peculiarità ontologica, ed è schiacciato sulle sue funzioni ‘umane’. Il Magistero è ignorato nella sostanza, tollerato ‘per obbedienza’. La Vergine Maria è presente dove la personale devozione lo chiede al singolo sacerdote, o a qualche teologo, ma non appartiene all’impalcatura della fede (se qualche ‘impalcatura’ vi è ancora) che essi trasmettono.

Aggiungo: in tale movimento (anzi: smottamento) indotto dall’intelligencija ecclesiale che si richiama allo ‘spirito’ del Concilio, non sorprende che l’ecumenismo sia oggi infine poco praticato, poiché nell’ordine della dottrina della fede siamo molto al di là, in termini di dissoluzione dogmatica, di ciò che la tradizione protestante non secolaristica, per non dire l’Ortodossia, credono ancora. In termini storici siamo nella somma confusione di terreni ereticali secolari. Modernismo, in senso tecnico.

Questo quadro, che corrisponde a una parte non piccola della cultura clericale e laicale, è, appunto, la parte mancante nel ragionamento dell’amico teologo. Qui vi è, certamente, immanentismo e il resto, e questo, non l’ecumenismo del Concilio e dei papi (non giochiamo, anzi non bariamo!), è il bersaglio dei ‘conservatori’; in realtà di quanti ritengono che ‘eredità’ o ‘spirito’ del Concilio vadano sottoposti, finalmente, a discernimento storico e teologico rigorosi, poiché attraverso il pretesto, e la falsificazione, del Concilio come ‘novità’ è filtrato e filtra il peggio. Va denunciata la tattica disonesta, già attiva nell’opinione pubblica ecclesiale, di presentare l’Anno della fede, e le celebrazioni del Cinquantenario dell’inizio del Vaticano II, come l’occasione per colpire i critici ‘tradizionalisti’ del Concilio.

La congiunzione dei due momenti, voluta da papa Benedetto, varrà a rendere consapevole il popolo cristiano, anzitutto, di quanto (per dono di Dio) la fede viva ancora in lui, e anche di quanto il patrimonio della Fede sia stato sconciato da utopismi e da dilettantismi. I ‘passionari’ del Concilio si chiedano, piuttosto, con serietà, in cosa credano oggi sotto l’abusivo richiamo al Concilio; e anche da quanto non leggano integralmente una Costituzione conciliare. Se in una sede di studio prestigiosa, a Roma, in un convegno di e per ‘teologhe’ ci si può domandare, tra salotto e comizio: ‘In fondo, chi esercita il Magistero nella Chiesa e a che diritto?’; se, in Italia, un parroco (uno?) può somministrare l’eucaristia ‘in memoria di Cristo’ (invece di dire: ‘il corpo di Cristo’), o nella chiesa di qualche convento importante i comunicandi si servono da soli come ad uno snack bar, questo non è uno scherzo: presuppone già o implicherà presto la negazione di tutti i punti fermi della UUS (inclusa Maria mater Dei) a vantaggio del più banale, nichilistico, ‘cristianesimo’ postmoderno.

Dunque, se qualcuno ha l’ardine di osservare che la ‘spinta ecumenica’, messa nelle mani dell’intelligencija teologica, ha favorito la liquidificazione della fede cattolica, non ha torto; lo si può dimostrare con analisi testuali. Ma non è l’ecumenismo in gioco. Cattolici e protestanti rischiano, a livelli diversi di gravità, ben altro: il magma dell’indistinzione senza dottrina né chiesa. I ‘lefevriani’ sono l’ultimo dei problemi per l’Anno della Fede.