Ma quale rischio per la democrazia!

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Ma quale rischio per la democrazia!

Ma quale rischio per la democrazia!

09 Giugno 2023

A che punto è la notte? A quasi otto mesi dalla nascita del governo Meloni il confronto tra maggioranza e opposizione sembra intraprendere sempre più la strada dello scontro ideologico e identitario. La sinistra accusa il governo di deriva autoritaria (Prodi e altri esponenti del Pd), di lento e costante ravvicinamento alle democrazie illiberali dei Paese di Visegrad (essenzialmente, Polonia e Ungheria), di concezione proprietaria delle Istituzioni (a partire dall’occupazione della Rai), di attentato all’autonomia della magistratura contabile sui “controlli concomitanti” sull’attuazione del Pnrr.

Sono solo alcuni degli aspetti fondamentali delle critiche della sinistra all’azione di governo. Un mix di tematiche che ruota attorno al nucleo centrale della democrazia. A piccoli passi, nonostante i pareri opposti di Cassese e Violante rispetto alla vulgata sulla presunta lesione dell’autonomia della magistratura contabile, invece di contrapporre e di sollecitare il governo con proposte alternative, l’opposizione si barrica sui rischi della tenuta democratica del Paese.

Non è un’accusa di poco conto. Perché in una democrazia liberale, le controparti possono e debbono confrontarsi su programmi contrapposti, persino sulla visione della vita, ma in un quadro di reciproca legittimazione. Se lo scontro, invece, assurge nientemeno che attorno alla salvaguardia del nucleo duro e fondante della democrazia, si apre, più o meno consapevolmente, un vulnus sulla tenuta democratica del sistema.

Il Paese ha intrapreso una tale deriva? La democrazia è a rischio? Sembra ardimentoso lanciarsi su un tale crinale. Due studiosi di Harvard, Ziblatt e Levitsky, nel saggio “Come muoiono le democrazie” definiscono alcuni criteri per coglierne la dissoluzione anche se queste hanno a fondamento il voto popolare: il rispetto delle opposizioni, la possibilità di cambiare governo, l’assenza di manifestazioni di violenza politica, la libertà di stampa e l’autonomia della magistratura. Perché, come diceva Luigi Einaudi, “un paese in cui i giudici non siano e non si sentano davvero indipendenti (..) è un paese senza legge, pronto a piegare il capo dinanzi al demagogo primo venuto, al tiranno e al nemico”.

Pur con il massimo cinismo appare difficile applicare quei criteri al caso italiano. Il governo avrà altre pecche, ma appare una forzatura prospettare un allontanamento dai canoni della democrazia occidentale. Ma la notte è lunga anche per le forze di governo. Che appaiono, a volte, più impegnate in una infinita guerra di propaganda che a marciare unite per dare una svolta al Paese.

Chi ha votato la coalizione di destra, come afferma Galli della Loggia, chiede all’esecutivo fatti concreti, decisioni attuabili e da attuare per imprimere una svolta al Paese. Non una battaglia quotidiana, fatta di mezze dichiarazioni, più o meno politicamente scorrette, che trovano il tempo di un giorno sui giornali.
Restare prigionieri di uno sterile scontro ideologico tra “ismi”, tra progressisti e conservatori, non conduce da nessuna parte. E quella sì che sarebbe una deriva inconcludente.