Premierato, frenata o apoteosi del populismo?

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Premierato, frenata o apoteosi del populismo?

Premierato, frenata o apoteosi del populismo?

18 Novembre 2023

“Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi e incompetenti facciano troppo danno?”: è la domanda fondamentale che pone Karl Popper, forse il maggiore filosofo del Novecento, alla base della sua teoria della sovranità.

Potrebbe sembrare un volo pindarico partire dalla filosofia per atterrare alla “rozza materia della quotidianità”, come diceva Noberto Bobbio, del dibattito in atto sulla riforma costituzionale, avanzata dal governo, che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio, con tutta un’altra serie di novità sui quali si concentra la bagarre politica. Ciò che sembra assente, salvo rare eccezioni, è la decifrazione della teoria della sovranità, per tornare a Popper, che costituisce il substrato culturale ed ideologico dalla proposta.

L’elezione diretta del presidente del Consiglio sarebbe un unicum nelle democrazie occidentali poiché presidenzialismo e premierato presuppongo architetture istituzionali diverse. Ma, al di là di questa considerazione, il buco nero in cui rischiano di affogare anche indubitabili istinti democratici è costituito dal rischio che l’accentramento del potere in un unico istituto costituzionale conduca al “surriscaldamento” istituzionale.

E che, quindi, al di là della personificazione dell’eletto, (più o meno illuminato), si apra la strada ad un “potere illimitato” che rappresenta l’antitesi di una concezione liberale della sovranità. Appartiene alle culture e alle ideologie stataliste il presupposto che l’accentramento del potere sia pre-condizione per una sovranità che, in quanto “emanata” direttamente dal popolo, la liberi dai “lacci e lacciuoli” istituzionali che ingabbierebbero il libero e sovrano giudizio popolare.

La cultura liberale, da Popper a Hayek a von Mises, naviga in un altro mare. Da Tocqueville in poi, alla fonte della società democratica e liberale sta la teoria dei “freni e dei contrappesi”, per la divisione e limitazione dei poteri. Per la mentalità statalista, il potere è la politica che si fa carne; per l’approccio liberale, il potere va “diluito” per evitare che qualcuno ne faccia un cattivo uso. Perché, diceva Popper, “i governi non sono sempre buoni o saggi”.

Quindi: al di là di alcuni aspetti politici indotti dalla riforma (la diversa fonte alla base delle diverse sovranità del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica e l’eventuale epilogo referendario che nella storia recente ha bruciato alcune leadership), la questione fondamentale resta la teoria della sovranità: la proposta rappresenta il tentativo di frenare la stagione del populismo, chiamando direttamente a decidere il popolo sovrano per sopperire alla crisi dei partiti – oppure ne è l’apoteosi?

Il governo e una parte dei costituzionalisti ritengono che ridare la parola al popolo possa rappresentare la strada per immettere nuova linfa nelle Istituzioni e frenare l’astensionismo crescente; per l’opposizione, politica e culturale, invece, con la riforma si allenterebbero le strutture architettoniche del sistema istituzionale vigente, sacralizzando l’epilogo dell’uomo solo al comando.