Una guida per vincere la “scaramanzia della morte”
01 Dicembre 2007
La forza ( e il fascino) della nuova enciclica di Benedetto XVI risiede in una particolarità: leggendola si ha l’impressione che il Papa si rivolga al singolo lettore, quasi avesse un unico destinatario. Questo perché il tema della speranza è forse quello che più di tutti accomuna gli esseri umani. Credere fermamente in una salvezza e in una redenzione, avere la certezza che le proprie sofferenze non siano vane è un tema così intimistico da toccare le corde più profonde di qualsiasi animo umano. Il Papa ci ricorda che senza lo sguardo verso il Cielo, fissato in quell’eternità che da sola può dare significato alla nostra esistenza, la nostra vita non può avere alcuna conferma definitiva. E lo fa spaziando abilmente tra storia, teologia e filosofia, con uno sguardo particolare alla storia dell’uomo più recente.
Tra le cose negative che possono imputarsi alla modernità c’è n’è una in particolare che è alla base di molti mali: il rifiuto della morte, esorcizzarne il timore fin quasi a dimenticarla in una sorta di “scaramanzia collettiva”. All’opposto, la speranza cristiana trova compimento proprio in essa, perchè restituisce all’uomo fiducioso la vera dimensione del suo essere. Il Papa ci ricorda che solo il passaggio attraverso essa è promessa per una nuova esistenza, poiché il limite e la provvisorietà della vita terrena non riescono a contenere la felicità proposta dal cristianesimo. La vera speranza non può dunque esaurirsi nel desiderio di appagamenti materiali e terreni. L’illusione del mito del Progresso, della Ragione, della Tecnica, si basa sull’errore di ritenere la libertà umana come secondaria e conseguente a questi traguardi: pur riconoscendo l’importanza delle conquiste scientifiche (con la s minuscola, s’intende), ammonisce il Pontefice che “Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo (…) allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo”.
Su questo punto il tema della speranza e quello della libertà si incontrano, una libertà che a differenza degli strumenti di cui l’uomo dispone non è mai definitiva. Ogni nuova generazione si troverà di fronte a scelte che appartengono solo ad essa, nessuna costrizione esteriore di natura politica o scientifica può cambiare questa natura delle cose e rimarrà sempre nelle mani dell’uomo l’alternativa tra scelte giuste o sbagliate. L’idea che in qualche modo si possa costringere l’umanità dall’esterno, che la scienza possa da sola risolvere i grandi problemi è fallace, poiché essa “(…) può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa”.
La condanna di Benedetto XVI contro i grandi sistemi ideologici parte dalla constatazione che immanentizzando l’idea della felicità eterna si attua una menzogna contro l’uomo. Marx e tutti quanti hanno promesso tale felicità dalla rivoluzione francese in poi, difatti, non sono riusciti a descrivere i contenuti di questa nuova condizione. Il padre del comunismo ha auspicato il rovesciamento della società per accedere ad una fase intermedia, “ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo. (…) Questa fase intermedia la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante”. Infatti “Nessuno e niente garantisce che il cinismo del potere (…) non continui a spadroneggiare nel mondo”.
Ovviamente l’enciclica non si riduce alla sola questione ideologica. Il messaggio più profondo è che la ricchezza del cristianesimo sta nel dare risposte concrete e positive alle inquietudini dell’uomo. Non nasce contro una dottrina o un argomento ma bensì dalla conoscenza del Dio vero, che alimenta le nostre speranze perché Egli stesso si è fatto carico della croce delle nostre sofferenze. La rivoluzione sta proprio qui, ben lontani dal teismo o dall’ateismo. Quest’ultimo, prodotto del tempo moderno (l’ateismo come dottrina filosofica è una novità del XIX secolo), inteso come ribellione ad un Dio che non permetterebbe le ingiustizie, lascia l’uomo in balia di se stesso e disperato, gettato in un esistenza irrazionale e senza scopo. Chiaro è ciò che segue: “Se di fronte alla sofferenza di questo mondo la protesta contro Dio è comprensibile, la pretesa che l’umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio fa né è in grado di fare, è presuntuosa e intrinsecamente non vera”. E non è forse la prospettiva atea che lascia l’uomo solo nella disperazione, cieco verso l’avvenire e ignorante sulle sue origini?
La Spe salvi riserva tantissimi altri spunti di riflessione. L’insistenza su concetti “allergici” per l’uomo contemporaneo quali inferno, paradiso e redenzione, potrà essere un utile richiamo anche (soprattutto?) per un certo cristianesimo contemporaneo, ridotto ai buonismi del politicamente corretto e ad una certa ansia delle questioni sociali che lo portano a trascurare il vero orizzonte verso cui tendere.