
Al corteo della CGIL cuoricini pacifisti per Putin e antiamericanismo a gogò

09 Ottobre 2022
La giornata di ieri è stata una brutta giornata per la sinistra. Non tanto perché ogni giorno che passa si avvicina il governo Meloni, ma perché è emersa una delle più grandi e decisive contraddizioni al suo interno. Le posizioni sulla guerra, infatti, sono tutt’altro che univoche e tutt’altro che filo-ucraine. Chi si stupisce ora è un ingenuo, ma è un elemento imprescindibile di analisi per capire le ragioni della disunità e della sconfitta della sinistra. Il pacifismo sembra, ahinoi, tornato di moda.
La CGIL in piazza per Gazprom, falso pacifismo
La CGIL ieri è tornata in piazza, per ricordare l’ingiustificato e ingiustificabile assalto alla sua sede romana un anno fa. Le parole d’ordine erano le solite: antifascismo, pace, salario minimo e (in)sostenibilità ambientale. Leonardo Filippi, giornalista di Left che certo non si può additare come meloniano o neoliberista, ha trovato un eloquente striscione (nella foto) “We love Gazprom, Yankee$ go home”.
Tutto senza nemmeno considerare il discorso di Landini, che ormai è lanciato in un populismo sfrenato alla Mélenchon. “Bisogna dire: pace, anche se è stato giusto aiutare l’Ucraina a difendersi”. Una bella idea di pacifismo, che fa rima con genocidio.
Gli intellò che fanno la guerra coi soldatini
Ma non è nemmeno lontanamente finita qui la fiera dell’ipocrisia della sinistra. All’alba di sabato, infatti, l’Ucraina è riuscita a far esplodere il ponte di Kerch che unisce la Crimea alla Russia. Questa mossa non è solo stata strategica, perché ha messo in luce l’assenza di sistemi di difesa adeguati e perché ha creato un problema logistico non indifferente, ma anche simbolica. Gli invasori russi, infatti, lo avevano costruito appena dopo l’illegittima invasione del 2014.
Apriti cielo. È arriva un’onda di indignazione che ben ha rappresentato Milena Gabanelli, giornalista del Corriere della Sera e maître à penser della sinistra che ama ascoltarsi da sola. “Ma qualcuno a Washington e Bruxelles dice a Zelensky dove si deve fermare?”. La risposta è semplice: ai suoi confini. Che poi è la linea della progressista Sanna Marin, ministro capo della Finlandia, definita “bulletta” da Antonello Caporale, storica firma de Il Fatto Quotidiano.
Mille modi per (non) fare la pace possibili
La posizione di Gabanelli è stata molto condivisa sui social, insieme ad altre posizioni curiose. Ci sono quelli che già ad aprile volevano mandare solo armi difensive, tipo scudi ed elmetti immagino, come il professor Massimo D’Antoni che insegna Scienza delle Finanze a Siena. Ci sono quelli che ci tengono a specificare la differenza tra “pacifismo” e “resa”, come il professor Valentino Larcinese che insegna Public Policy alla London School of Economics. Parliamo di professoroni che non si rendono conto del rapporto causa effetto tra l’assenza di aiuto militare e capitolazione dell’Ucraina? Sinceramente fatico a crederci.
Così come fatico a credere che esista qualcuno di assennato che davvero parteciperà alla manifestazione per la pace indetta da Giuseppe Conte, con il placet del Fatto Quotidiano e Avvenire, immaginando che basti volere i negoziati di pace per fare la pace, se Putin non vuole né i negoziati né la pace. E fa un po’ sorridere vedere così tanta gente che davanti alla Meloni dice “ora e sempre resistenza”, ma vorrebbe che il popolo ucraino accettasse di buon grado l’occupazione dell’invasore pur di tutelare questa entità metafisica chiamata “pace”.
Non lasciamoci incantare dalle sirene dei guerrafondai. Il pacifismo non è resa. É usare il negoziato come mezzo per risolvere i conflitti, partendo dal saper riconoscere le ragioni e gli interessi degli altri. Chi pensa di avere tutte le ragioni il piú delle volte è un fanatico.
— Valentino Larcinese (@vlarcinese) October 7, 2022
Eppure, questa voglia di insinuare il dubbio che non fosse così necessaria per fare dei progressi militari rivela qualcos’altro. Soprattutto se non era stata detta una parola sugli ospedali bombardati, sui bambini stuprati, sulle fosse comuni e via discorrendo. Tutti si apprestano a ribadire la propria avversione alla dittatura russa, salvo poi giustificarli in qualche modo o attaccando Zelensky. L’antiamericanismo continua a mietere vittime, letteralmente.
Pacifismo, si aprono le crepe nel PD al Parlamento Europeo
La segreteria di Letta è stata un disastro in molti ambiti, ma un merito bisogna darglielo. La posizione del Partito Democratico sulla guerra è stata compatta, dalla parte dell’Ucraina, dell’UE e della Nato. La parte giusta. Ma la sconfitta elettorale che ha messo fuori gioco Letta e le sirene pacifiste stanno mischiando le carte in tavola.
Ben sette parlamentari europei del PD, oltre ai leghisti, i pentastellati e i verdi italiani, hanno votato a favore di un emendamento presentato dagli irlandesi Mick Wallace e Clare Daly, due indipendenti iscritti da indipendenti nel gruppo di sinistra radicale. Parliamo di ammiratori di Putin e Xi Jinping, fan della repubblica islamica, la forma di governo di Iran, Pakistan e Mauritania. Volevano un maggiore sforzo per raggiungere la pace, a loro dire. L’unica certezza che abbiamo è che hanno votato a favore i partiti di estrema sinistra ed estrema destra.
Va detto che, alla fine, tutta la delegazione del PD e della Lega, non quella del M5S che si è astenuto, ha votato a favore dell’invio di armi. Ma l’altra votazione non è altro che una spia di un malessere diffuso a sinistra quanto a destra. Le sirene del pacifismo peloso non smetteranno di cantare.