Il quarto di secolo di odissea per la ferrovia tra Pescara e Bari
09 Giugno 2022
Ulisse ha impiegato dieci anni per tornare a Itaca dopo la guerra di Troia, allo stato italiano, invece, ne servono venticinque per completare la ferrovia tra Pescara e Bari. Sembra l’inizio di una barzelletta, ma, purtroppo, non è così. I fondi per raddoppiare la tratta ferroviaria finale che unisce la Puglia a Bologna erano disponibili già dal 2003. Si tratta di 700 milioni per terminare un’opera che, si spera, sarà pronta nel 2028. Un quarto di secolo per realizzare 32 chilometri di binari, tradotto: 781 metri di avanzamento ogni anno. Letteralmente un’odissea.
Non è casuale che addirittura la Corte dei conti abbia messo gli occhi su questo modello di inefficienza italiana. La Corte, infatti, ha formulato una serie di osservazioni e raccomandazioni per assicurare il completo utilizzo delle risorse disponibili, nel rispetto delle tempistiche stringenti del PNRR, In particolare, la magistratura contabile ha sottolineato la necessità che studi e indagini preliminari siano particolarmente accurati. Si potrebbero così evitare successive revisioni con conseguente aumento dei costi e dei tempi di realizzazione.
Il caso della ferrovia tra Pescara e Bari è emblematico di ciò che puntualmente accade quando si parla di infrastrutture e non dobbiamo illuderci che sia un problema meramente burocratico. Tra gli interessi localistici, che impediscono l’attuazione di strategie articolate, e opposizione ideologica, con scusante ecologica, a ogni innovazione, l’Italia è spesso ferma al palo. Partendo da richieste tutto sommato ragionevoli in termini contenimento dell’impatto ambientale, si sfocia nell’opposizione aprioristica. L’Alta Velocità, pur essendo efficiente, non può bastare, perché non coinvolge la dorsale adriatica del Paese che rimane mal collegata. Quando il comanda popolo dei no il risultato è drammatico, soprattutto nel centro-sud.