La distanza tra popolo ed élite alla base del risultato di Trump
07 Novembre 2024
Giudicare gli Stati Uniti in base alla simpatia per il nuovo presidente, in Italia è un “classico”. Ci sentiamo ‘americani’ quando vince il nostro candidato preferito, per poi divenire di colpo ‘antiamericani’ quando la Casa Bianca è conquistata da chi non si ama. Questo approccio ostacola una relazione coerente con gli USA: un rapporto che per l’Italia e l’Europa si fonda su storie, principi e interessi condivisi che prescindono le personalità al governo pro tempore. In sintesi, gli Stati Uniti rimangono il nostro partner strategico, al di là dell’alternanza delle leadership.
La vittoria di Trump, come si dirà, desta preoccupazioni legittime. Non la si può ritenere, però, un ‘impazzimento’ del popolo americano. Riflette, invece, le aspirazioni di una parte dell’elettorato spesso trascurato; di quella “America profonda” – rurale, suburbana o lontana dai grandi centri – dove valori come la comunità, la fede e la libertà individuale sono potenti e radicati. È la right side: l’America che si sente “giusta” proprio perché conservatrice. Quanti sono stati scioccati dal risultato delle elezioni presidenziali, dunque, ignorano quella parte della realtà degli Stati Uniti che sfida le nostre idee preconcette.
Va poi considerata anche la fragilità dell’avversario che Trump ha affrontato. La campagna di Kamala Harris è stata compromessa più da errori strategici che dalle sue capacità personali. Nonostante l’ironia e l’abilità comunicativa, Harris non è riuscita a intercettare le preoccupazioni dell’elettorato su questioni come l’inflazione e l’aumento del costo della vita. L’establishment democratico ha commesso errori di lunga duratra, che non potevano essere annullati da una buona performance televisiva.
Considerare tali aspetti razionali del voto americano consente di non sottovalutare i rischi che tutte le democrazie occidentali stanno affrontando in questa fase storica. Essi vanno ben oltre la personalità di Donald Trump: la crescente polarizzazione ideologica, la distanza tra popolo ed élite, l’instabilità geopolitica internazionale, la gestione delle rapide trasformazioni tecnologiche. Proprio la tecnologia gioca un ruolo cruciale in queste dinamiche. Figure come Elon Musk incarnano un potere che un tempo apparteneva solo ai governi e ai media tradizionali, facendo sorgere legittimi dubbi sulla neutralità delle nuove piattaforme. Le democrazie, insomma, appaiono vulnerabili.
Questo scenario impone di riconsiderare i limiti di compatibilità tra processi di modernizzazione e istituzioni democratiche. Trump quei limiti li ha già superati una volta, quando, il 6 gennaio 2021 spinse le frange più radicali del movimento MAGA ad assaltare il Campidoglio. È necessario, perciò, mantenere alta la guardia, anche se non ci si può limitare a questo.
La vittoria di Trump, inoltre, dovrebbe indurre l’Europa a una riflessione profonda sulle dinamiche interne degli Stati Uniti e sulle loro implicazioni per le relazioni internazionali. Nei prossimi mesi sarà cruciale valutare con attenzione le strategie americane. È probabile che non mancheranno tensioni tra le due sponde dell’Atlantico: sul piano geostrategico, una politica isolazionista potrebbe mettere alla prova la coesione della NATO e il sostegno all’Ucraina; sul piano economico, il ritorno a un protezionismo commerciale potrebbe porre problemi seri ai PIL europei (e a quello italiano in particolare).
La nuova amministrazione americana, insomma, presenta indiscutibili complessità con cui dovremo fare i conti. Per affrontarle, però, non serve un’Europa ‘piagnona’. Avremo bisogno, piuttosto, di una Europa più adulta e più responsabile.
(Tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno)