L’elezione diretta del Premier? Scelta una via impervia

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L’elezione diretta del Premier? Scelta una via impervia

L’elezione diretta del Premier? Scelta una via impervia

01 Novembre 2023

Riproponiamo l’editoriale su riforme e premierato a firma di Gaetano Quagliariello, apparso oggi sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Sull’Occidentale abbiamo avviato un dibattito sulle due questioni ospitando anche un articolo a firma di Giuseppe Calderisi, considerato uno dei massimi esperti di area liberale in materia di regolamenti istituzionali. 

La riforma della Costituzione proposta dal governo, il cui testo sarà approvato nella seduta del Consiglio dei Ministri di venerdì, è imperniato sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio. La notizia suscita immediatamente due domande: perché si è scelto di eleggere direttamente il Capo dell’esecutivo anziché il Capo dello Stato? E perché, fino ad oggi, tanti Paesi si sono orientati verso l’elezione diretta del Presidente della Repubblica mentre quelli che hanno scelto di eleggere direttamente il Presidente del Consiglio si contano sulle dita di una mano?

Le domande sono evidentemente correlate e, naturalmente, debbono esserlo anche le risposte. Credo di non correre il rischio delle interpretazioni arbitrarie ipotizzando che la ragione principale per cui governo e maggioranza abbiano pensato in tal modo è quella di preservare una figura di garanzia alla quale, tra l’altro, gli italiani sono molto affezionati: quella del Presidente della Repubblica. Mantenendo inalterati i suoi poteri – questo credo sia stato il ragionamento – tutti si sentiranno più garantiti e nessuno dovrà preoccuparsi che l’elezione diretta possa innescare delle “derive plebiscitarie”.

Le intenzioni, insomma, sono le migliori. Esiste, però, un problema di non semplicissima soluzione. La forza di una figura istituzionale è determinata non soltanto dai poteri che gli vengono assegnati ma anche dalla sua fonte di legittimazione e, senza dubbio, la legittimità che viene trasmessa dall’espressione diretta della sovranità del popolo è molto più pregnante di quella che deriva da un voto parlamentare. Assegnando alla figura meno legittimata un potere di controllo su quella “a legittimità più forte” si determina certamente un’asimmetria e si corre il rischio di porre le premesse per un conflitto istituzionale. Le istituzioni, come è noto, si reggono sulle gambe di donne e uomini in carne ed ossa. E’ evidente che se questi hanno buon senso, i rischi di cui sopra diminuiscono o, addirittura, si dissolvono. Quando si tocca la Carta fondamentale è però prudente essere pessimisti, perchè quelle norme debbono valere non solo per l’oggi ma anche per un domani assai lontano.

E’ questo il motivo per il quale in così pochi casi si è pensato di eleggere direttamente il Capo del Governo? Non è il solo. Un pregio dei sistemi istituzionali che funzionano bene è la flessibilità: la capacità, cioè, di adattarsi alle contingenze politiche più diverse e imprevedibili. Chi presiede un esecutivo è naturalmente esposto a questi imprevisti. Lo è certamente di più di chi svolge il ruolo di garante delle istituzioni. Il fatto di essere direttamente investito del ruolo dalla sovranità popolare rende la sua posizione assai rigida. E’ più difficile, ad esempio, sostituirlo magari anche con un membro del suo stesso partito, come accade comunemente in Gran Bretagna dove persino un premier di ferro come Margaret Thatcher si è dovuta piegare alla flessibilità del sistema. A questa difficoltà possono certamente ovviare alcune accortezze del testo. Ma sempre di accortezze si tratta; la normalità vuole che chi è eletto direttamente non venga cambiato in corso d’opera, anche se le esigenze del Paese (e persino quelle del proprio schieramento) sono diverse.

Queste considerazioni nascono dall’esperienza e da una riflessione costituzionale che si è sedimentata nei secoli. Esse avrebbero consigliato che, per rafforzare i poteri dell’esecutivo, s’imboccasse una tra queste due strade più ordinarie e sperimentate: adottare il semipresidenzialismo sul modello della V Repubblica francese rafforzando i poteri del Parlamento, che in quel sistema latitano, oppure rivedere i poteri del Capo del governo e, invece di eleggerlo direttamente, assegnargli la possibilità di nominare i Ministri e, soprattutto, di poter proporre (e ottenere) lo scioglimento del Parlamento così come accade in Gran Bretagna, Germania e Spagna.

Si è scelta, invece, una “terza via”. Le ragioni sono comprensibili e persino condivisibili. Per dare un giudizio ponderato è però necessario attendere il testo e considerarlo fin nelle virgole perché in materia costituzionale il diavolo si annida nei particolari. Non di meno, alla luce della storia, si può già affermare che quella prescelta è una via impervia. (Tratto da La Gazzetta del Mezzogiorno)