Qatargate, Anghelé (The Good Lobby): “Sfruttate le ‘porte girevoli’, nessuno ha chiesto nulla a Panzeri”

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Qatargate, Anghelé (The Good Lobby): “Sfruttate le ‘porte girevoli’, nessuno ha chiesto nulla a Panzeri”

Qatargate, Anghelé (The Good Lobby): “Sfruttate le ‘porte girevoli’, nessuno ha chiesto nulla a Panzeri”

28 Dicembre 2022

“Il Qatargate è una vicenda principalmente di corruzione, più che di lobbying. Sicuramente va fatta un’ampia riflessione sulle modalità con cui vengono influenzate le politiche pubbliche europee. Rafforzando le regole sulla trasparenza dell’attività di rappresentanza di interessi è possibile prevenire i casi di corruzione. L’apparato normativo europeo in materia è molto avanzato. Eppure esistono delle maglie che hanno reso il sistema permeabile”. A dirlo è Federico Anghelé, direttore di The Good Lobby, organizzazione non profit attiva nel lobbying, interpellato dall’Occidentale sul caso che ha sconvolto il Parlamento europeo. 

L’assenza di regole chiare e di trasparenza evidenziata dal Qatargate può generare un sistema di influenza indebita e corruzione da parte di regimi autoritari. Come possono difendersi le democrazie da questo rischio? Secondo Anghelé “un paese naturalmente può rappresentare i propri interessi, ma deve farlo nei consessi istituzionali. Per prevenire vicende come il Qatargate serve la divulgazione sistematica dei dati relativi a tali interessi: quali nazioni stanno influenzando l’Ue, o i singoli governi nazionali? Su quali dossier?”.  

“Serve più trasparenza”

Molto spesso Paesi stranieri svolgono attività di rappresentanza dei propri interessi non attraverso i normali canali diplomatici, ma per mezzo di società di pubbliche relazioni e lobbying. L’obiettivo è quello di chiudere accordi commerciali e di investimento con l’Europa. Il Qatargate impone quindi anche una riflessione sulla consapevolezza dei valori democratici e di libertà della classe dirigente europea? “Purtroppo – sottolinea Anghelé – noi siamo in generale molto permeabili e questi paesi giocano proprio su questo. Un apparato di regole condivise e rigorose ma anche il riconoscersi fortemente in determinati valori sono gli strumenti che l’Occidente ha per esprimere la propria differenza rispetto ai regimi autoritari”. 

“Nel corso degli ultimi anni – continua – paesi come il Qatar si sono avvalsi di tutti gli strumenti di influenza a disposizione. Non si tratta solo del finanziamento al singolo politico, che spesso è tracciabile e documentato, ma dell’utilizzo di terze parti, tipo associazioni, fondazioni, Ong, con vincoli di trasparenza meno rigorosi. Pensiamo anche al ruolo che, in questi paesi, hanno i fondi sovrani o le grandi aziende riconducibili al governo, oggi sponsor di tante importanti squadre di calcio europee. Si tratta di strumenti di influenza che contribuiscono a creare un’ immagine positiva di un determinato paese”. 

Il Qatargate e l’Occidente, “troppo permeabili al potere economico emergente”

Un afflusso costante di denaro che arriva a intaccare le decisioni pubbliche occidentali, attraverso i rivoli più disparati “ma conta anche la nostra forse eccessiva disponibilità e poca attenzione rispetto ai rischi che potrebbero comportare questi contatti. In questo modo si alimenta – spiega Anghelé –  l’idea che i nostri sistemi politici siano in vendita al miglior offerente. Questo ci espone a rischi sempre maggiori”. 

Uno degli aspetti più controversi del Qatargate riguarda Fight Impunity, l’Ong fondata da Antonio Panzeri, ex eurodeputato del Pd al centro della vicenda di presunta corruzione. Nel registro della trasparenza, istituito a Bruxelles per monitorare le attività di lobbying che coinvolgono la Commissione Ue, di Fight Impunity non c’è traccia. “In questo caso – spiega Anghelé – è stato sfruttato il sistema delle ‘porte girevoli’. Agli ex deputati, in sostanza, viene concesso un accesso illimitato alle sedi istituzionali e decisionali Ue. Nessuno ha chiesto a Panzeri per conto di chi facesse lobbying e perché Fight Impunity non fosse iscritta al registro”. 

“L’Ong – aggiunge – , date le interlocuzioni di alto profilo avviate, avrebbe dovuto essere iscritta nel registro della trasparenza, ma la rete di relazioni ha fatto sì che non scattasse alcun allarme. Va ricordato che i controlli sulle organizzazioni che fanno lobbying avvengono solo dopo l’iscrizione al registro. Se una società non figura nel documento, quindi, nessuno è tenuto a controllare”.  

Sul ruolo delle Ong nell’influenzare i processi decisionali a Bruxelles, Anghelé ricorda che “tra le realtà iscritte nel registro della trasparenza, un terzo è riconducibile al mondo del no profit ma c’è molta difformità per temi e interessi, questo non aiuta la promozione di percorsi trasparenti e rigorosi”.